4° assioma: La sofferenza è direttamente proporzionale all’assenza del piacere

Ecco un altro assioma importantissimo, perché, lo dico dal punto di vista della mia esperienza professionale e personale, sicuramente è stato uno degli elementi che mi ha portato a cambiare di più la visione delle cose (poi vi spiegherò anche quale è stato il mio percorso in maniera tale da rendervi partecipi di quelle che sono state le tappe evolutive sia dal punto di vista personale che professionale). L’assioma è:“La sofferenza è direttamente proporzionale all’assenza del piacere”.
Sembra una banalità stratosferica perché è vero che noi pensiamo che se manca il piacere allora c’è la sofferenza, ma se lo andiamo ad analizzare da un punto di vista più profondo, più specifico capiamo che questo assioma non è poi così tanto banale.La routine della nostra vita ci porta ad identificare la sofferenza che viviamo, il disagio come fine a sé stessi, ossia se esiste ed è forte perché c’è un qualcosa che la genera, la crea e quindi rende così forte quella sofferenza.Ed è fine a sé stessa in quanto tutto il resto della nostra vita potrebbe andare bene ma c’è questa sofferenza così forte che invece ci crea un disagio spaventoso.Beh, non è così perché l’assioma dice proprio che più è forte la sofferenza più è basso il livello del piacere.Quindi, tante volte nella nostra vita confondiamo questi elementi proprio pensando che mentre il livello di piacere può essere neutro, mettiamola così, la sofferenza invece è più forte.Quindi noi non viviamo piacere perché c’è una sofferenza forte.
No, è al contrario, siccome il livello del piacere è totalmente abbassato allora esiste anche un livello di sofferenza contrapposto.
Si chiama la legge del verso e dell’inverso di ogni cosa: siccome il piacere è totalmente basso come livello, la sofferenza cresce sempre di più.
Quindi, come mai questo assioma a me personalmente ha cambiato la vita?
Quando ho incominciato a capire che nella mia vita c’era un’assenza di piacere che generava una presenza forte della sofferenza, ho cominciato a creare delle cose che creassero piacere.
Non ho lavorato sulla sofferenza in sé, ma ho lavorato al contrario, sull’aumento del piacere, perché aumentando il piacere diminuiva automaticamente la sofferenza.
Ricordiamoci che l’inconscio si aggancia dal punto di vista quantitativo, quindi non dal punto di vista qualitativo.
Vediamo in maniera più precisa questa distinzione.
L’inconscio si aggancia sul piacere e se si aggancia sul piacere automaticamente riduce l’aggancio sulla sofferenza. Non è tanto la difficoltà in sé a svanire ma è l’importanza che diamo a quella difficoltà che diventa inferiore.
Come dire che se noi viviamo una difficoltà nel nostro percorso auto-realizzativo, facciamo un lavoro che ci crea disagio, ecco che se andiamo a trovare un qualcosa che ci crea un piacere più forte rispetto a quel disagio continueremo a fare il nostro lavoro senza difficoltà o con difficoltà ridotta e non andremo più ad agganciarci in maniera così forte a quella sofferenza.
Quindi andiamo a fare questa distinzione significativa fra le due istanze, fra il pensiero e il ragionamento.
Perché il pensiero e il ragionamento? Perché abbiamo definito che la nostra logica ha un pensiero logico-razionale in cui devono seguire le sequenze logiche mentre il nostro inconscio, la nostra parte emotiva (noi la chiamiamo “io bambino” e poi vedremo per quale motivo) non è un’istanza in grado di ragionare, anzi viene definita anche da altri scienziati, come per esempio Goleman, intelligenza emotiva perché ha le sue capacità riflessive.
È importante capire comunque che la parte logica utilizza una logica razionale, mentre la parte istintiva, l’inconscio ha i suoi ragionamenti e le sue riflessioni. Quindi, succede che mentre la nostra logica si aggancia e soprattutto fa una distinzione netta tra bene e male, tra positivo e negativo, tra bello e brutto, l’inconscio questa distinzione non la fa assolutamente.
L’unica distinzione che fa la nostra parte emotivo-istintuale è la distinzione quantitativa.
Quindi, prendiamo il concetto della logica e andiamo ad analizzarlo. Cosa vuol dire che la logica fa distinzione fra positivo e negativo, bene e male?
Dal punto di vista dell’identificazione delle nostre emozioni siamo abituati per cultura a ragionare che esistono emozioni positive e emozioni negative. Ecco, è un pensiero che dal punto di vista logico è corretto, mentre dal punto di vista emotivo non è così tanto corretto.
Sicuramente c’è una distinzione fra l’espressione che noi diamo delle emozioni, come esprimiamo determinate emozioni, ma dal punto di vista effettivo della distinzione in sé è la logica che distingue fra un’emozione definita positiva e una definita negativa, quindi la gioia, il piacere e la felicità piuttosto che la sofferenza, il turbamento, la tristezza e così via. La differenza che fa l’istanza logica deriva da strutture e da concetti logici, strutturali-antropologiche dell’essere umano.
È la società che in qualche modo ci mette nella condizione di definire che un’emozione è positiva e un’altra è negativa. Esempio pratico: l’emozione legata ad un matrimonio e l’emozione legata ad un funerale, quindi alla morte di una persona cara.
La società ci dice che l’emozione legata al matrimonio è un’emozione positiva e che noi dobbiamo viverla in un determinato modo e, soprattutto, che possiamo vivercela.
Dall’altro lato abbiamo l’emozione legata alla morte che è un’emozione negativa dal punto di vista sociale e che alcune volte viene vista come un’emozione che non possiamo vivere, non possiamo esprimere e trasmettere perché può essere qualcosa che ci crea difficoltà.
E questo vedremo più avanti all’interno del Master Online in Comunicazione Analogica Strategica, come sarà fondamentale per la gestione della nostra vita. Intanto abbiamo visto questa distinzione.
Vediamo come oggi in realtà alcuni cambiamenti sociali ci stanno portando anche a vedere in maniera diversa questo tipo di emozioni, come l’emozione legata al matrimonio oggi possa essere vista come una tragedia piuttosto che una gioia, le varie separazioni piuttosto che a dire
“No, lascia stare, io del matrimonio non ne voglio parlare assolutamente, voglio rimanere libero nella vita”.
Quindi, già questo ci dà l’identificazione di quanto sia soggettiva dal punto di vista logico l’identificazione di un’emozione positiva piuttosto che negativa, stessa cosa vale per l’emozione legata al funerale o alla morte. La nostra cultura ci dice che il passaggio con la morte è un qualcosa in cui il nostro caro viene a mancare.
È vero che anche l’aspetto spirituale-religioso della nostra cultura occidentale ci porta a pensare che probabilmente ci sarà qualcosa oppure c’è chi pensa che non ci sarà niente.
È anche in funzione di questo che darà poi un’identificazione più o meno forte di quell’emozione, però sicuramente ci crea quella che noi definiamo come tristezza e la viviamo in quanto tale perché c’è la mancanza, l’assenza del nostro caro e la viviamo soprattutto in questo modo.
Come, per esempio, ci sono anche altre culture, soprattutto culture più tribali, più radicate in senso naturale, in senso più stretto dal punto di vista dell’appartenenza alla terra, in cui vivono il passaggio della morte come un passaggio evolutivo, migliorativo in cui il loro caro non è più in questa dimensione ma in un’altra dimensione migliore e quindi addirittura loro sono contenti del passaggio di questo caro e festeggiano la morte piuttosto che piangerlo e basta.
Certo, a piangere lo piangono per forza perché è innegabile il fatto che non c’è più fisicamente il caro e, quindi, tutti sentiamo quell’emozione lì. Ma poi quell’emozione dal punto di vista culturale viene trasformata: noi continuiamo a viverla come lutto, in altre società la vivono come un evento di gioia, di felicità.
Questo per sottolineare quanto sia importante proprio la definizione logica della differenza tra emozione positiva e negativa. Altro elemento importante è proprio questa distinzione qui che ci permette di andare a capire l’assioma che la sofferenza è direttamente proporzionale all’assenza del piacere.
Siccome abbiamo definito che la logica fa questa distinzione, vediamo il punto di vista dell’inconscio.
L’inconscio non fa distinzione tra positivo e negativo, quindi chiariamo subito questo concetto che è fondamentale.
Se questa cosa non ce l’abbiamo ben chiara in mente, non abbiamo appunto una base fondamentale per continuare nel percorso della conoscenza della CANV, perché questo ci porterà in contrasto alcune volte sul nostro pensiero logico, che appunto fa questa distinzione.
L’inconscio non fa distinzione tra emozione positiva e emozione negativa. L’unica distinzione che fa l’inconscio è tra emozione forte ed emozione meno forte, quindi dal punto di vista quantitativo e non qualitativo.
Siccome abbiamo definito che l’inconscio vive e sopravvive grazie alle emozioni, in funzione delle emozioni, è lui che genera e quindi sopravvive grazie a queste emozioni, ovviamente va alla ricerca delle emozioni più forti, non delle emozioni meno forti.
Riprendiamo la metafora del bambino: provate ad immaginare un bambino goloso, mettetegli di fronte due barattoli di nutella: uno piccolo da 250 g, l’altro il vasetto commerciale, anzi il vasone commerciale di nutella da 5kg.
Ovviamente il bambino dove si indirizzerà? Sicuramente non verso quello da 250 g, ma verso quello più grande perché sa che può avere di più. Ecco, l’inconscio, per questo in parte lo chiamiamo “io bambino”, ragiona in questo modo, va sulle emozioni più forti e non sulle emozioni meno forti.
Torniamo su quello che dicevamo in precedenza: l’assioma
“La sofferenza è direttamente proporzionale all’assenza del piacere”.
Se noi viviamo dal punto di vista quantitativo uno scarico del piacere, quindi un piacere basso, l’inconscio non si può agganciare su quello perché è come il vasetto di nutella da 250g, e quindi si aggancerà ad una sofferenza quantitativamente più forte.
E allora attenzione, perché qui vedete come incomincia a ritornare di più il concetto: se diamo un piacere più forte rispetto a quello che è la sofferenza, a prescindere dal fatto che la sofferenza o l’evento in sé o la situazione in sé possa cambiare, magari la situazione può rimanere sempre la stessa, ma se noi innalziamo il livello del piacere e superiamo quantitativamente quello che è rappresentato dalla sofferenza, automaticamente l’inconscio si sgancia da questa e si aggancia su quell’altro elemento che è dato da piacere. Quindi, noi non ci andremo più a soffermare nella nostra vita sulla sofferenza ma ci concentreremo sul piacere.
Questo è importante perché, come vi ho detto prima, può cambiarvi totalmente la vita. Noi siamo concentrati da essere umani soprattutto a identificarci e a rappresentare la sofferenza. Un esempio pratico che faccio sempre anche nei corsi in aula è quello in cui dico: “Se viene un amico da me e mi dice: Io devo partire per un mese, devo lasciare mia nonna da sola. E sono io che tutti i giorni vado a fare la spesa per mia nonna. Volevo chiederti, siccome tu sei qui, potresti farlo tu al posto mio?
Accompagnarla tutti i giorni a fare la spesa?
Io rispondo <Ok, perfetto. Nessun problema. L’accompagno io.>
” Io mi prendo l’impegno di accompagnare per 30 giorni la nonna a fare la spesa.
Ma succede che un giorno per un motivo x non posso accompagnarla, o per la mia professione, o per le mie relazioni familiari, per le relazioni sentimentali-affettive, dovrò chiamare la nonna e dirle che non posso accompagnarla a fare la spesa.
E la nonna mi dirà “Ma si, caro, non ti preoccupare, facciamo una spesa più grande oggi così mi basterà anche per domani”. Quindi il problema non si crea dal punto di vista oggettivo. E invece che cosa succede?
Che quando ritorna il mio amico e io farò il bilancio di quello che è accaduto, andrò a vedere che su 30 giorni 29 giorni io la nonna l’ho accompagnata a fare la spesa e un giorno no.
Ecco, la mia performance sarà macchiata da quell’unico giorno che io non ho accompagnato la nonna e mi concentrerò su quello, — non sono stato adeguato alla richiesta perché quel giorno ho mancato, — piuttosto che concentrarmi e dire “su 30 giorni 29 giorni sono stato bravo e l’ho accompagnata”.
La nostra mente logica andrà a concentrarsi su quell’unico neo che abbiamo vissuto e, ripeto, la nostra esperienza di vita è fatta così, noi ci concentriamo su quello.
Ricordiamoci anche che i nostri errori e le nostre difficoltà sono anche da un punto di vista evolutivo importanti perché noi apprendiamo per errori.
Facciamo un errore, capiamo che la cosa non è andata bene e cerchiamo una soluzione. Quindi anche la nostra struttura è portata a concentrarsi sugli errori, è la nostra struttura che si basa sul riconoscimento degli errori in quanto ci permettono di capire dove abbiamo sbagliato e di trovare delle soluzioni alternative.
Ecco perché oggi ci concentriamo sulle difficoltà, sulle sofferenze e sui disagi. Poi, l’evoluzione ci ha portato anche dal punto di vista emotivo, sociale e culturale a identificare anche altri aspetti legati ai disagi e alle alterazioni della sfera emotiva e comportamentale. Ma ricordiamoci sempre che è l’aspetto quantitativo che viene gestito dalla nostra parte emotivo- istintuale mentre invece l’aspetto qualitativo viene gestito dall’istanza logica.
Ecco come l’esempio fatto della nonna ci dà l’idea di come poi tutto quanto nella nostra vita viene rapportato in questi termini.
Provate adesso a proiettare questo esempio sugli aspetti della vostra vita.
Andiamo a vedere come sia nelle relazioni sentimentali, sia nell’ambito lavorativo, sia in tutti gli aspetti importanti della nostra vita ci siamo trovati tante volte in difficoltà, tante volte abbiamo vissuto magari delle difficoltà minime che ci sono sembrate in quel momento delle difficoltà enormi e poi magari successivamente le abbiamo viste come un qualcosa che potevamo risolvere anche prima.
A quanti non è capitato di rimanere incastrati in una relazione che sapevamo come gestire,
blocchi che ci impedivano di separarci, situazioni in cui non riusciamo a lasciarci con un compagno o una compagna, oppure non riusciamo a mettere uno stop a quella relazione perché le paure ci impediscono di gestire la cosa in un certo modo e poi succede che successivamente nel momento in cui si interrompe la relazione, ci lasciamo, troviamo la forza o addirittura alcune volte è anche l’altro che trova la forza di concludere la relazione e noi che cosa pensiamo?
Tutto qua? Era tutto qui?
A saperlo lo avrei fatto prima.
Ecco, questa è una cosa che facciamo sempre e costantemente. I detti popolari non vengono a caso, quando si dice “Col senno di poi sono bravi tutti” sta a rappresentare anche questa esperienza qui.
Ragionando successivamente ci rendiamo conto di come le nostre paure in qualche modo ci hanno bloccato ed erano più forti rispetto a quelle che poi si sono verificate nel momento concreto in cui si sono manifestate e verificate quelle condizioni.